Le tracce storiche di questa pasta risalgono già al 1300. Durante la guerra che la Serenissima Repubblica ingaggiò con i turchi colpevoli di affondare le navi che trasportavano il prezioso grano duro, a un pastaio addetto al vettovagliamento venne l’idea di usare la poca farina di grano duro che restava, mischiata al grano tenero in modo da formare un grosso spaghetto. Ebbe un tale successo che il nome “bigolo” può essere rintracciato anche in famose ballate e filastrocche popolari dell’epoca.
Ma è solo a partire dal 1600 che i Bigoli entrano effettivamente “in produzione”. Nel 1604 un pastaio di Padova, Bartolomio Veronese detto Abbondanza, venne autorizzato dall’allora Consiglio del Comune a godere del brevetto di un macchinario di sua invenzione che presto prese il nome di Torcio Bigolaro. Costruito in legno, questo particolare torchio aveva forma cilindrica e permetteva di comprimere l’impasto con una leva o a volte con un manubrio, facendolo passare attraverso una trafila a fori larghi dai 2 ai 2,5 mm, per formare il bigolo e altri formati di pasta. Il signor Abbondanza infatti pare che produsse diversi tipi di pasta lunga.
Ma la predilezione dei clienti cadde presto proprio sui bigoli, il cui nome deriverebbe probabilmente dal termine dialettale “bigàt” (bruco), o dal latino “bombyx” (baco).
Da fine ‘800 nelle famiglie del nord-est dell’Italia si diffuse poi un marchingegno utile a fare la pasta lunga senza uova: il “bigolaro”. Questo semplice strumento veniva fissato al tavolo e al suo interno era fatto passare l’impasto che attraversava una trafila ruvida. Appena fatti, i bigoli erano messi ad essiccare a cavallo di bastoni sospesi fra due sedie. Le massaie preparavano in genere abbondanti quantitativi utili per tutta la settimana.
Oggi i bigoi in casa non li fa (quasi) più nessuno, come moltissimi altri formati di pasta. Quelli che si trovano in commercio già pronti però spesso differiscono dalla versione originale, presentando un’aggiunta di uova nell’impasto.